martedì 28 febbraio 2017

Guardiani della Galassia 2: ecco un nuovo trailer dello spettacolare cinecomic Marvel (con anche Kurt Russell)

Siete pronti? Star-Lord e compagnia atterreranno nei nostri cinema il prossimo 25 aprile.

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Emma Stone confermata in The Favourite, insieme a lei anche Nicholas Hoult

Alla regia del film in costume Yorgos Lanthimos, nel cast Olivia Colman e Rachel Weisz

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Logan - The Wolverine

Il terzo capitolo dedicato a Wolverine, l'ultimo interpretato da Hugh Jackman
* * * - - (mymonetro: 3,20)

Regia di James Mangold. Con Hugh Jackman, Patrick Stewart, Richard E. Grant, Boyd Holbrook, Stephen Merchant, Dafne Keen, Eriq La Salle, Elizabeth Rodriguez, Doris Morgado, Mark Ashworth, Julia Holt, Elise Neal, Dave Davis, Juan Gaspard, Lauren Gros.
Genere Azione - USA, 2017. Durata 135 minuti circa.

El Paso, 2029. Sono 25 anni che non nascono più mutanti e quelli che sono sopravvissuti sono degli emarginati, in via di estinzione. Logan/Wolverine vive facendo lo chaffeur e la sua capacità di rigenerazione non funziona più come un tempo, mentre il Professor X ha novant'anni e il controllo dei suoi poteri psichici è sempre meno sicuro. Quando una donna messicana cerca Logan per presentargli una bambina misteriosa di nome Laura, nuove attenzioni e nuovi guai cominciano a raggiungere i mutanti.





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Justin Timberlake e Anna Kendrick torneranno a cantare insieme in Trolls 2!

La Universal e DreamWorks hanno infatti annunciato il sequel del fortunato film d'animazione

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Smetto quando voglio - Masterclass

Non mira certo basso il team di Smetto quando voglio che, reduce dal grande successo del film del 2014, mette in cantiere in un colpo solo due sequel, scaglionando – immaginiamo solo di qualche mese - l'uscita nelle sale. In realtà non si tratta di due sequel, ma di un unico sequel diviso in due puntate, girate in contemporanea. Insomma il modello, più che le stagioni delle serie televisive, è niente meno che Matrix: reloaded+revolutions. Quello che è uscito da un paio di settimane, intitolato Smetto quando voglio – Masterclass è dunque soltanto il primo capitolo del sequel, cui farà seguito ben presto il secondo, puntualmente annunciato nel teaser che precede i titoli di coda, fidelizzazione garantita. L'arco narrativo non si chiude in uscita (e questo è tipico), ma addirittura non si chiude nemmeno in entrata, se è vero che all'inizio vediamo il bambino del protagonista Pietro Zinni (il sempre divertentissimo Edoardo Leo) e della moglie Giulia (Valeria Solarino) che avrà, a occhio e croce, un annetto, mentre il film che ci accingiamo a vedere si chiude di fatto con il parto, dunque la cornice resta aperta, in vista del secondo capitolo.
Diciamo che senza aver visto il primo film lo spettatore qua e là fa fatica a comprendere alcune allusioni, anche se la co-protagonista di Masterclass, la commissaria Paola Coletti (Greta Scarano) a un certo punto predispone su un vetro del suo ufficio un sociogramma della banda con pennarelli e post-it che, più che per lei, sembra proprio pensato per lo spettatore che non ha visto la prima parte o che se l'è dimenticata. L'idea di partenza non è credibilissima (ma le convenzioni realistiche erano state sospese da tempo…): la commissaria propone che la banda torni a formarsi per aiutare/surrogare la polizia, saranno i ricercatori a rintracciare in giro per la capitale delle periferie, dei giovani e delle feste le smart drugs non ancora mappate e vietate dal Ministero della Salute, in cambio, come per magia, la fedina penale di Zinni e dei suoi coltissimi compari si ripulirà, promette la commissaria. Con una scelta di sceneggiatura rivedibile il protagonista pretende, come condizione, che la banda acquisisca nuovi membri pescati fra improbabilissimi cervelli in fuga, un medico, un ingegnere, e un avvocato finiti rispettivamente in Thailandia, in Nigeria e in Vaticano.
Dopodiché il meccanismo parte secondo le medesime dinamiche del primo film, pur essendo mutati due dei tre sceneggiatori (l'unico rimasto è Sidney Sibilia, il regista), uno dei quali è Luigi Di Capua, uno degli ideatori di The Pills, e un po' si vede. Ritroviamo tutti i tic dei vari personaggi, l'antropologo a caccia di laureati dallo sfasciacarrozze, gli antichisti che battibeccano in latino, l'archeologo convertito al cantiere della metropolitana, il chimico tossicodipendente. Come sempre accade in casi del genere (ma era così anche nel primo film) alcuni personaggi funzionano meglio, altri un po' meno, nell'insieme il film, che vira più del precedente in direzione action movie (anche e soprattutto nell'uso della macchina da presa con plongée, accelerazioni e rallentamenti, e si permette anche una sequenza d'animazione: effetto psicotropo), funziona bene, malgrado forse due difetti: il coté poliziesco che fa tanto, troppo serie RAI tristanzuola (dialoghi fra la commissaria e il capo miseri miseri) e certi colloqui fra Pietro e Giulia che, nonostante le spesso brillanti formulazioni del ricercatore, suonano un po' ripetitivi e stucchevoli.
La comparsa, sul finire, di Luigi Lo Cascio nel ruolo dell'antagonista, lascia piuttosto facilmente intuire una deriva altrettanto intellettuale anche per il secondo capitolo della seconda parte che, ovviamente, andremo a vedere.

(Smetto quando voglio -Masterclass). Regia: Sidney Sibilia sceneggiatura:Sidney Sibilia, Francesca Manieri, Luigi di Capua; fotografia: Vladan Radovic; montaggio: Gianni Vezzosi; interpreti: Edoardo Leo (Pietro Zinni), Stefano Fresi (Alberto Petrelli), Greta Scarano (Paola Coletti), Valerio Aprea (Mattia Argeri), Paolo Calabresi (Arturo Frantini), Valeria Solarino (Giulia), Luigi Lo Cascio (Walter Mercurio); produzione: Fandango, Graonelandia Film, Rai Cinemaorigine: Italia; durata: 118'.



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La luce sugli Oceani con Michael Fassbender e Alicia Vikander: ce ne parla in esclusiva il regista Derek Cianfrance

Il film tratto da un best seller di M.L. Stedman arriverà nei nostri cinema l'8 marzo.

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L'arte del cinema - Scritti teorici e riflessioni didattiche [libro]

"In passato non avevamo il cinema, ora si. La fondazione del nostro cinema si compie a partire da Kulešov. Noi facciamo film. Kulešov ha fatto cinema"
- Vsevolod Pudovkin, Leonid Obolenskij, Sergei Komarov

Per ogni studioso di cinema, Lev Vladimirovič Kulešov (1899-1970) è un punto di riferimento per lo studio dell'arte cinematografica, sia in un contesto ben circoscritto, come quello sovietico, sia in una accezione ben più vasta, in rapporto con l'evoluzione del cinema americano e nel naturale confronto tra esso e la genesi di un certo modo di realizzare cinema propriamente di sinistra (come definito dallo stesso Kulešov).

La figura di Kulešov è stata accostata troppo spesso solo alla sua più eclatante invenzione pratica-teorica, il cosiddetto “effetto Kulešov”, il celebre effetto di montaggio volto a creare una relazione diretta tra elementi diversi semplicemente accostandoli tra di loro, un passo importante verso la scoperta della complessità e dinamicità che lo sfruttamento del montaggio cinematografico poteva infondere nell'opera filmica. Ma Kulešov è stato soprattutto esperto e fine docente universitario, scienziato e teorico del cinema alla perenne ricerca della verità nascosta dietro l'immagine proiettata: il cinema secondo Kulešov è un organismo vivente composto da elementi essenziali e volti alla costruzione di un'opera che fosse in grado di mostrare ben più di quanto l'occhio fosse in grado di percepire a una prima visione.

Autore di numeri scritti, diari e registri di scena, a Kulešov va riconosciuto il merito di aver riportato con cura certosina le esperienze praticate sul campo (assieme ai suoi studenti-assistenti), per rielaborarle e trasformarle in sunti teorci sulle innumerevoli possibilità di evoluzione che il cinema sovietico avrebbe dovuto studiare e adottare per provare quantomeno a raggiungere la complessità artistica del cinema americano e, in special modo, prendendo come riferimenti due geni della settima arte, ovvero D. W. Griffith (considerato il padre del grande cinema americano) e Charlie Chaplin.

La Dino Audino Editore ha il grande merito di aver pubblicato L'arte del cinema – Scritti teorici e riflessioni didattiche (risalente al 1929), che si da il caso sia il primo testo di Kulešov tradotto in italiano. Tra le pagine di questo breve ma rigoroso saggio, l'autore non si crogiola sul semplice “effetto di montaggio”, ma quasi lo accantona per immergersi in una lezione sul cinema da inquadrare in ogni singolo elemento di cui è composto; così ogni capitolo tocca un diverso aspetto su cui soffermarsi a riflettere, ponendo a confronto le tecniche e i princìpi teorici del poco dinamico cinema sovietico con il più strutturato cinema americano: il cinema secondo Kulešov non si esaurisce nelle singole inquadrature e nella mimica degli attori, ma prende vita dall'unione di elementi essenziali, inscindibili tra loro, a cominciare dalle innumerevoli potenzialità offerte dal montaggio volto a sfruttare il materiale cinematografico che sta alla base di ogni scelta, di ogni motivazione proposta dal regista; ma non solo, poichè l'autore si prodiga nello studio degli strumenti tecnici, dall'illuminazione agli oggetti di scena, dall'importanza della sceneggiatura alla necessità propria di ogni grande attore di evolvere la propria tecnica recitativa, modificandola da quella usata per il teatro, senza dimenticare l'immane lavoro che sta dietro alla pura meccanica cinematografica, ossia ai metodi di produzione di un film.

Essendo un saggio scritto di proprio pugno da Kulešov, L'arte del cinema – Scritti teorici e riflessioni didattiche si giova delle numerose riflessioni sullo stato culturale e politico dello Stato sovietico degli anni Venti, senza mai esagerare con inutili digressioni o distaccandosi dal nucleo focale dell'opera, ovvero quella di smembrare un corpo quasi morto e immobile come il cinema russo di quegli anni, per poterne curare le patologie che lo affliggono; e la cura di tutti i mali, per Kulešov, risiede nello studio del montaggio in quanto aggregatore e motore di tutti quegli strumenti fisici e concettuali propri del linguaggio filmico innovativo già prospettato dal cinema americano.

Un compendio magico, rivelatorio, scritto da un professore a tutti quegli studenti o potenziali tali affamati di cinema. Per questo, adatto a tutti gli addetti ai lavori e ai timorosi - ma curiosi - interessati durante il primo giorno di scuola.

Autore: Lev Vladimirovič Kulešov
Titolo: L'arte del cinema – Scritti teorici e riflessioni didattiche
Titolo originale: Iskusstvo Kino (1929)
Traduzione: Marella Fasano (tradotto dall'inglese Art of cinema, 1974)
Editore: Dino Audino Editore
Dati: 95 pp.; cura, prefazione e postfazione di Giampiero Frasca
Anno: 2016
Prezzo: 13,00 €
Isbn: 978-88-7527-329-3
webinfo: Scheda libro sul sito Editore



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Terminate negli Stati Uniti le riprese del fanta-horror 'My little baby', di Giorgio Bruno

Si sono concluse negli Stati Uniti le riprese di My little baby, nuovo lungometraggio diretto da Giorgio Bruno, autore dello zombie movie Almost dead.

Prodotto dallo stesso Bruno insieme a Daniele Gramiccia, Salvatore Lizzio e Giorgio Serafini e scritto dai primi tre in collaborazione con Filippo Santaniello, My little baby vede protagonista Jimmy, bambino di dieci che, dotato di poteri straordinari, vive in un mondo tutto suo.

Il giorno di Natale riceve in regalo una coppia di walkie talkie giocattolo che, poi, in una notte come tante iniziano ad emettere strani rumori di interferenza, consentendogli di connettersi ad una dimensione parallela e di comunicare con il padre defunto, ad insaputa della madre.

Una connessione che, però, fa anche sì che strane creature di un altro mondo parallelo arrivino a turbare la quiete della famiglia.Una vicenda che si rifà volutamente a tutto l'immaginario cinematografico degli anni Ottanta, con omaggi ai film di Sam Raimi ed a Shining di Stanley Kubrick, fino ad un inaspettato epilogo.

Nel cast, accanto a LaDon Drummond ed al piccolo protagonista Ethan Thompson, figurano il Jeremy Sande di Deepwater – Inferno sull'oceano e John Ashton, ovvero il sergente Taggart dei primi due capitoli della serie comico-poliziesca Beverly Hills cop, interpretata da Eddie Murphy.



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Martedì grasso a Rende (Cosenza) nel segno di Carlo Goldoni

Un Martedì grasso nello stile della migliore televisione in bianco e nero e nel segno di Carlo Goldoni è l'appuntamento pensato da Ugo G. Caruso e promosso dal Movimento Telesaudadista per martedì 28 febbraio alle ore 21 a Rende (Cosenza) dove nei locali della Sala "Tommaso Sorrentino" (Via G. Brodolini, 19) verrà proposta "Una delle ultime sere di Carnovale", una delle più celebri trasposizioni del grande commediografo veneziano per la regia teatrale e poi televisiva di Luigi Squarzina, trasmessa nel 1970. La pièce, scritta da Goldoni, a cinquant'anni, nell'imminenza del suo trasferimento a Parigi dove era stato chiamato presso il Théâtre de la comédie italienne, fu rappresentata a Venezia con grande successo nel Teatro di San Luca, proprio il martedì grasso del 1862, a chiusura di una stagione creativa fervidissima che comprendeva "Le baruffe chiozzotte" e "I rusteghi". Di sapore autobiografico, il testo mescola sapientemente umori allegri e malinconici poichè racconta dell'ultima sera dei festeggiamenti carnascialeschi ma anche del congedo di Anzoletto, disegnatore di tessuti in partenza per la Moscovia. Il riferimento è per l'appunto all'addio a lungo rinviato alla sua amata Venezia da un Goldoni amareggiato per le incomprensioni di cui sentiva fatta oggetto la propria opera in patria. Il tutto si svolge nel corso di una serata che vede riunite in casa del fabbricante di tessuti, Sior Zamaria, dodici personaggi: tre coppie di coniugi insieme ad altre tre coppie ancora da farsi e a tre valletti, in ossequio al modulo ternario caro all'autore. Tra un'irresistibile partita a meneghella, i bonari intrighi per favorire certi matrimoni, il pranzo e il ballo finale, la commedia corale diventa un'allegoria della vicenda biografica di Goldoni e un affresco della borghesia italiana che ricorda per via delle tante affinità certi soggetti della coeva pittura fiamminga. La messa in scena di Squarzina, come detto, fu realizzara dal Teatro Stabile di Genova diretto dal regista insieme ad Ivo Chiesa e mandata in onda dalla Rai il 13 gennaio del 1970, accolta da un alto indice d'ascolto e soprattutto di gradimento.

La regia di Squarzina infatti è finissima e originale mentre il cast, come di regola all'epoca, solo a menzionare il nome degli interpreti, evoca un'atmosfera da grande teatro: Giancarlo Zanetti, Lucilla Morlacchi, Camillo Milli, Lina Volonghi, Grazia Maria Spina, Eros Pagni, Esmeralda Ruspoli, Omero Antonutti, Sebastiano Tringali, Elsa Vazzoler, Toni Barpi, Wanda Benedetti, Luciano Razzini, Gianni Fenzi e Renzo Martini.



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Fotografia, Musica e Poesia: al via tre Concorsi Nazionali

Al via Tre Concorsi Nazionali aperti sia agli studenti che agli adulti, dedicati alla Fotografia, alla Musica e alla Poesia. A decretare i vincitori tre giurie di qualità con nomi molto importanti del panorama culturale italiano.

L'Associazione Culturale Sperimentiamo arte, musica, teatro” da il via ai “Tre concorsi di Primavera”: 5° Concorso Nazionale Fotografico “Obiettivo VIII Colle”, VII Concorso Nazionale di Musica “San Vigilio in…Canto” e la 9^ edizione de concorso nazionale di Poesia “Giugno di San Vigilio”.

Il primo, dedicato alla fotografia, è focalizzato sul tema “Le quattro stagioni”. Da sempre, l'uomo ha sentito la necessità di attribuire alla natura, così forte e rigogliosa, una valenza mistica e divina e le quattro stagioni naturali sono state al centro di studi che hanno interessato l'uomo dal paganesimo ad oggi; esse determinano la nascita delle cose, la loro evoluzione e la loro morte, ma anche più semplicemente il ritmo di vita che ciascuno di noi tiene durante l'anno, dalle lunghe giornate estive alle brevi invernali. Il concorso fotografico è rivolto sia agli studenti che agli adulti senza limite di età. Le fotografie dovranno essere inedite. Le opere saranno valutate da una giuria composta da personalità di spicco nel campo fotografico, artistico e culturale presieduta da Rein Skullerud, Responsabile Photo Unit, Communications Division World Food Programme. La cerimonia di premiazione si terrà sabato 1 aprile a Roma.

Il Concorso dedicato alla Musica è rivolto a tutte le scuole Primarie, gli Istituti Secondati di 1° e 2° grado, i Licei musicali, i Conservatori di musica e le Associazioni Culturali Musicali ed ha come obiettivo di stimolare l'interesse, la pratica e la diffusione della musica tra i giovani, favorendo la diffusione e lo scambio delle esperienze musicali maturate negli anni. La cerimonia di premiazione si terrà domenica 21 maggio a Roma. A decretare i vincitori sarà una commissione composta da validi musicisti, concertisti ed esperti in didattica musicale, composizione, direzione corale.

Il Concorso dedicato alla Poesia è aperto sia agli studenti che agi adulti di ogni età. Dovranno presentare un testo di 36 versi su un tema libero ed inedito. Tra i vari premi che saranno dati, sarà conferito anche il Premio Speciale “Cristiana Cafini” al vincitore assoluto del concorso. Sarà inoltre consegnato il Premio Speciale per la musicalità: le poesie scelte per la musicalità saranno messe in musica dal M° Tullio Visioli ed eseguite in prima assoluta durante la premiazione della X edizione dello stesso concorso. Il Presidente di giuria sarà il poeta Alberto Toni. Le poesie vincitrici saranno anche pubblicate nel 3° volume del libro intitolato “Giugno di San Vigilio”. Da segnalare anche un premio speciale riservato agli studenti delle scuole appartenenti ai tre paesi maggiormente colpiti dal terremoto: Accumoli, Amatrice e Arquata del Tronto; un'iniziativa che nasce come supporto per la continuazione degli studi ma soprattutto per la valorizzazione dei giovani talenti. La cerimonia di premiazione si terrà a Roma sabato 3 giugno.

Scadenza Bandi:

5° concorso Nazionale Fotografico – 18 marzo

VII Concorso Nazionale di Musica – 6 maggio

9^ edizione del concorso nazionale di Poesia – 6 maggio

Tutti i bandi completi per partecipare sono a disposizione sul sito: www.sperimentiamo.it

Per ulteriori info:
Ass.Cult.”Sperimentiamo Arte Musica Teatro
Tel. 333 4080635
info@sperimentiamo.it



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Okja: ecco il primo teaser trailer del film Netflix di Bong Joon-ho con Tilda Swinton e Jake Gyllenhaal

Le prime immagini dell'atteso monster movie, che sarà probabilmente presentato al prossimo Festival di Cannes.

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Si è spento Bill Paxton, volto noto di Aliens e Near Dark

Si è spento, a soli 61 anni, l'attore statunitense William “Bill” Paxton, volto cardine di Hollywood tra gli anni Ottanta e Novanta. Nato nel 1955 a Forth Worth, debutta al cinema nel 1975 con il film Crazy Mama di Jonathan Demme. Il periodo di svolta per la sua carriera cade nella metà degli anni Ottanta, quando inizia il sodalizio con James Cameron; da qui un primo ruolo in Terminator, fino alla consacrazione con Aliens – Scontro finale. Seppur in un ruolo di appoggio ai protagonisti, in questo film Paxton riesce, con la sua recitazione nevrotica del personaggio del soldato Hudson, a metaforizzare l'ansia e la claustrofobia scatenate dal mostro alieno.

Utilizzato da Hollywood principalmente in pellicole action/sci-fi, Paxton lo ricordiamo anche in Commando, Predator 2, True Lies, Near Dark e Titanic. Nell'ultimo periodo, seguendo una scia molto in voga tra gli attori, presta il suo volto alla serialità televisiva con Big Love e Training Day. Un attore che ha dato il meglio di sé nel periodo reaganiano, in quell'America muscolare che amava presentare degli eroi in quadro privi di conflitti interiori e votati continuamente all'azione.



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Passeri: clip italiana esclusiva del film di Rúnar Rúnarsson

Il secondo lungometraggio del regista islandese arriva nei cinema italiani il 2 marzo.

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Gomorroide: I Ditelo Voi in una clip esclusiva della film paroida della celebre serie tv

Il trio comico di Made in Sud arriva sul grande schermo dal 9 marzo prossimo.

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Jackie

Jackie - locandinaAncora fasciata dall’abito del lutto, Jackie tenta nervosamente di sfilarsi la fede dall’anulare, ma il matrimonio che l’ha consegnata alla gloria è ormai parte ineliminabile di lei. L’immagine riflessa nello specchio la scruta: chi è la vera Jackie, la figura corporea o l’impalpabile idolo? Probabilmente, non è casuale che la macchina da presa esili off screen la donna in carne e ossa per dedicare il campo al solo simulacro: e se quest’ultimo fosse l’unica realtà esistente?

Il mese scorso, debuttava al Gobetti di Torino Edith, il play di Chiara Cardea ed Elena Serra sulle due Bouvier, zia e cugina della signora Kennedy, che bandirono se stesse dal mondo e dalla mondanità per recludersi nella marcescente dimora di Grey Gardens, in riva all’Atlantico. Ora, giunge nelle sale cinematografiche italiane la pellicola che, inondando d’emozione il Lido di Venezia, è valsa a Noah Oppenheim un non così meritato premio per la sceneggiatura e che impressiona l’isolamento della stessa Jacqueline, compiute le esequie del consorte, nella sontuosa magione del Massachusetts dove fu ricevuto il giornalista di Life Theodore White (mai chiamato per nome nel film), per l’intervista che contribuì, a suo modo, all’edificazione del mito di JFK. Girato per lo più in Francia, Jackie, l’opera che avrebbe dovuto essere diretta da Darren Aronofsky e interpretata da Rachel Weisz, è divenuto il primo lungometraggio anglofono di Pablo Larraín che, rotto all’esplorazione del turpe passato cileno, si parli dell’era Pinochet o dei tempi di Videla, qui si cala invece in quel novembre del 1963 che rimane uno dei paragrafi più contorti della storia recente. Non con Reisz, ma con Natalie Portman che, inguantata nei costumi della magistrale Madeline Fontaine, rende una prova di stucchevole mimetismo.

Jackie - un fotogramma

Se, in Post mortem, nel cadavere di Salvador Allende condotto all’obitorio dove lavora il protagonista, s’incorporano le illusioni spirate di un Cile diverso, con il John Fitzgerald abbattuto a Dallas dai colpi sparati da Lee Oswald declina il sogno di un Paese migliore, più moderno, più giusto (?), insomma le molte speranze che Kennedy aveva alimentato. Una sigaretta dopo l’altra, Jacqueline racconta e, a suon di flashback, un frammento alla volta, il quadro si compone. Insieme a un sogno nazionale, si è infranta anche la fiaba personale della First Lady: la realtà bruta e disarmante è irrotta là dove la finzione era forma e materia dell’esistenza, madre di miraggi a cui era ed è bello credere, compresa la Fata Morgana di una felicità coniugale non così limpida. Bouvier, che aveva messo in scena addirittura la Casa Bianca in un programma fatto per incollare i telespettatori statunitensi al piccolo schermo, si è resa subito conto che il feticcio di Camelot che lei aveva concorso a creare, con in mente più il musical di Lerner & Loewe adorato da Kennedy che l’antica saga europea, non dovrà essere intaccato. Perché, come John Ford e L’uomo che uccise Liberty Valance insegnano (“If the legend becomes fact, print the legend!”), quando la cruda realtà rischia di sopraffare la sua mistificazione, quest’ultima va preservata: White è avvisato, bisogna stampare la leggenda. Jackie esige per “Jack” funerali degni di Abraham Lincoln, perché anche la mondovisione vuole la sua parte, e, quando i giornali cominciano a mettere in circolazione voci malevole, occorre porre rimedio con una strategia comunicativa mirata. Se Neruda stabiliva che, in fondo, per assurgere alla giusta dignità pubblica (e ontologica), ciascuno necessita di un nemico, e i poeti se lo creano meglio di altri, Jackie replica che elemento trascendentale di un’esistenza, soprattutto se speciale, è la sua rappresentazione culturale. O, meglio, mediatica. E il potere dei media di manipolare le coscienze promanando realtà più vere del vero è un tema frequente in Larraín (Tony Manero, No – I giorni dell’arcobaleno).

Jackie - un fotogramma

Si plaude, in Jackie, all’intelligente abilità con cui il direttore della fotografia Stéphane Fontaine sa intonare le sue scelte al mood del momento narrato: un respiro da mélo di William Wyler per il presente, con una profondità di campo che visita i fastosi interni della tenuta senza trascurare i volti e la loro pregnanza; macchina a mano, panoramiche e inquadrature slabbrate nei segmenti che esprimono la concitazione successiva alla tragedia; addirittura un ovattato bianco e nero nelle sequenze televisive. Purtroppo, a penalizzare un film registicamente molto accorto (Larraín non è un pivellino, e si sa), è un copione che, se da un lato ha il merito di non abbandonarsi mai all’agiografia (Jacqueline ne esce come una donna boriosa e piuttosto antipatica), dall’altro suona troppo teso a spiegare se stesso, le chiavi di lettura adottate, la mission poetica. E, trascinato da una verbosità eccessivamente letteraria, incappa qua e là nella (cattiva) retorica. Altrove, Larraín ha dimostrato la capacità di lanciare messaggi altrettanto significativi con meno e migliori parole. Piuttosto banali, poi, e trite, le domande che Jackie affida al sacerdote, impersonato, ovviamente bene, da John Hurt, sulla bontà dell’Onnipotente: si può definire giusto un Dio che le ha sottratto due figli e un compagno giovane e vincente e che, a monte, permette simili travagli? L’impressione è che, sul silenzio di Dio, il cinema si sia già pronunciato in maniera insuperabile attraverso Ingmar Bergman. Anche la recente impresa scorsesiana, dopo tutto…



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Ghost in the Shell: nuovi poster animati del remake americano

Scarlett Johansson, Takeshi Kitano e Michael Pitt nel cast. C'è anche una sinossi ufficiale.

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L'inganno: nuove foto del film di Sofia Coppola

Nel cast ci sono Nicole Kidman, Elle Fanning, Sofia Coppola, KIrsten Dunst, Colin Farrell.

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Revolution - La Nuova Arte per un Mondo Nuovo

Le opere d'arte russe, dal suprematismo al costruttivismo

Regia di Marty Kinmonth. Con Daisy Bevan, Sean Cronin, Alex Enmarch, James Fleet, Ernest Gromov, Tom Hollander, Matthew MacFadyen, Tom Rose, Eleanor Tomlinson.
Genere Documentario - Gran Bretagna, Russia, 2016. Durata 85 minuti circa.

Attraverso preziose immagini d'epoca e i contributi di esperti come direttore dell'Ermitage, Mikhail Piotrovsky e la direttrice della Galleria Tret'jakov (il museo moscovita che ospita una delle più grandi collezioni di belle arti russe al mondo), Zelfira Tregulova, il film indaga la storia e le opere delle principali correnti russe, dal raggismo al suprematismo, dal cubo-futurismo al costruttivismo e si interroga sul loro desiderio di liberarsi dal realismo per creare un'arte capace di recuperare l'originalità delle proprie radici. Un percorso artistico irrimediabilmente intrecciato alle vicende politiche della rivoluzione, che le avanguardie precedettero condividendone molte idee per finire poi perseguitate dopo la morte di Lenin. Grazie allo stile vivo e originale di questi artisti, la Russia divenne una punta di diamante dell'avanguardia europea, in ambito figurativo ma anche per quel che concerne la poesia, il cinema, il teatro.





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Manhattan di Woody Allen torna al cinema (negli States) e lo accompagna un nuovo trailer: eccolo

Il capolavoro simbolo di New York torna nelle sale nella versione restaurata lo scorso anno.

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I migliori auguri a John Turturro che oggi compie 60 anni

Un video montaggio per onorare l'attore italoamericano, indimenticabile Jesus del Grande Lebowski.

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Lo spot di Terrence Malick Notes of a Woman per Mon Guerlain con Angelina Jolie

Il regista americano e l'attrice nella campagna pubblicitaria per un profumo, i cui ricavati andranno in beneficenza.

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lunedì 27 febbraio 2017

Royal Opera House: La bella addormentata

L'apice del balletto classico

Con Marianela Núñez, Vadim Muntagirov, Claire Calvert.
Genere Balletto - Gran Bretagna, 2017. Durata 180 minuti circa.

La bella addormentata, la storica produzione del The Royal Ballet che riflette il meglio del balletto classico, in cui principesse, fate e incantesimi magici prendono vita sulla celebre partitura di Pyotr Il'yich Tchaikovsky. Coreografato per la prima volta da Marius Petipa nella Russia del 1890, La bella addormentata contiene fantastici ensemble, assoli come l'Adagio della Rosa (quando la Principessa Aurora incontra i suoi pretendenti) e le danze conclusive per celebrare la felice unione del principe e della principessa.





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Anybody but Griffith

FALSE COLOURS ad 500

Motion Picture News (19 December 1914), 148.

DB here:

For almost two months, I’ve been in Washington, DC at the Library of Congress. The John W. Kluge Center generously appointed me Kluge Chair in Modern Culture. This honor has enabled me to work with the enormous collection of the Motion Picture, Broadcasting and Recorded Sound Division to sustain my research in American narrative cinema of the 1910s.

I wanted to go more deeply into an area I mapped out in the video lecture, “How Motion Pictures Became the Movies” and in the books On the History of Film Style and Figures Traced in Light. The general question was: How did the norms of storytelling technique develop between 1908 and 1920? More specifically, I hoped to trace out an array of stylistic options emerging for the feature film. What range of choice governed staging, framing, editing, and kindred film techniques?

 

Theatre, but through a lens; painting, but with movement

If you’ve seen that lecture, or just followed this blog from time to time, you know that I’ve sketched out two broad stylistic trends operating at the period. One, celebrated as  a breakthrough for a hundred years, involves the development of continuity editing. That trend was explored by several historians of early film, including Kristin in the book we did with Janet Staiger, The Classical Hollywood Cinema: Film Style and Mode of Production to 1960.

Critics and historians who saw editing as the essence of cinematic technique called the second trend “theatrical” and regressive. Directors in that trend supposedly simply planted the camera in one spot and let it run, recording performances and not bothering to cut up the scene into closer views. This “tableau” tradition was superseded by an editing-based style–and, many thought, a good thing too.

Over the last twenty years, however, scholars have reappraised that apparently static and passive camera. Lea Jacobs and Ben Brewster’s trailblazing book, Theatre to Cinema: Stage Pictorialism and the Early Feature Film (1997) traced film’s many debts to theatrical plotting, set design, and especially performance. In a parallel series of articles, Yuri Tsivian proposed that the “precision staging” of the 1910s had deep affinities with traditions of painting and visual culture. Lea, Ben, and Yuri showed that the tableau tradition offered rich creative choices to filmmakers.

For my part, I was concerned to explore how ensemble staging worked in a moment-by-moment fashion to call the viewer’s attention to key aspects of the action. Editing does that by cutting to closer views. In the tableau method, emphasis arises from composition, movement, and other pictorial strategies.

In light of all this research, it seems clear that during the 1910s the tableau strategy developed into a rich expressive resource. After Figures Traced in Light (which found the tradition still alive in directors like Angelopoulos and Hou), I continued to collect examples of creative staging at this period. The results led me to analyze films by Yevgenii Bauer, Danish directors, and other Europeans.

Keil cover 175Evidently the tableau persisted until 1920 in Europe, especially Germany, but the editing-centered option had already become dominant in America. But how long, and in what ways, did tableau methods hang on in the US? Or was the switchover quite quick? By 1917, Kristin had posited, continuity editing had crystallized as the primary storytelling style. I thought I’d try some depth soundings of the period.

Since my time was limited, I had to focus. Charlie Keil’s superb Early American Cinema in Transition: Story, Style, and Filmmaking 1907-1913 (2001) analyzed a great many films of that phase in depth, particularly with respect to editing techniques. So I thought I’d start with 1914 and simply try to see as many features from that year as I could. I then would sample items from later years. My only rule was to watch films that aren’t part of the canon–no Griffith, Chaplin, Fairbanks, Pickford, Fatty et al. I did, however, try to see rare things by Lois Weber, Reginald Barker, and other well-regarded filmmakers.

What did I come up with? I’m still watching and thinking, but let me share a few items that excite me. Clearly, despite plenty of audacious editing, the tableau technique was alive and well in America in 1914-1915. And the more I see, the more I’m inclined to rethink the terms under which I  value Mr. D. W. Griffith.

 

Tableau trickery

A simple illustration of how a fairly distant tableau can vividly guide our attention shows up in The Case of Becky (1915), directed by Frank Reicher.

Before an audience, the sinister hypnotist Balsamo hypnotizes Becky. From a deck of cards he has selected the ace of hearts, and in her trance she has to find it. There’s almost no movement in the frame: Balsamo stays frozen, as does Becky, except for her one hand flipping over the cards.

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No need for a close-up: With Balsamo as still as a statue, every viewer will be watching that tiny area of the screen occupied by her hands, and we wait for her to find the ace. When she does, Balsamo accentuates her minimal gesture by twisting his arm and freezing into another pose.

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Is this, then, simply filmed theatre? Not really. First, many tableau framings, like the Case of Becky instance, put the actors closer to us than stage performers would be.

Just as important, the perspective view of the camera yields a chunk of space very different from that of proscenium theatre. In cinema, for instance, depth is more pronounced, and actors can be shifted around the frame to block or reveal key information. This isn’t pronounced in the Case of Becky example because the two characters are more or less on the same plane and the background is covered by curtains. But consider this shot from The Circus Man (1914), by Oscar C. Apfel.

The circus owner Braddock has been sent to prison for murder and attempted robbery, a plot engineered by Colonel Grand. Now Braddock has served his sentence, and in a scene too complex to trace entirely here (but maybe in a later entry), he bursts in past the butler to confront Grand. Here’s what we see.

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Such a scene would be inconceivable on the stage because of the audience’s sightlines. People sitting in the left side of the auditorium couldn’t see Braddock’s entrance, because he’d be concealed by Grand, who’s standing in the foreground left. Audience members on the right side of the auditorium couldn’t see Braddock either, because Mrs. Braddock and David are standing on the right foreground.

The shot makes sense from only a very limited number of points, only one of which is occupied by the camera. Maybe a few people in the center of the theatre would have a fairly clear view of such an action, but as we’ve seen with The Case of Becky, they wouldn’t be so close to the players.

The sheer fact of optical projection means that cinematic space is narrow and deep, while stage space is broad and (usually) fairly shallow. The players tend to be spread out laterally, allowing for many sightlines. Cinematic staging can be deep and diagonal.

On the other hand, the tableau shot isn’t perfectly analogous to a painting. While the lens chops out a perspectival pyramid in three dimensions, the movement in the frame creates a two-dimensional flow–a cascade of planes and edges very different in what we’d get in a painting. This flow can be used to reveal or conceal bits of space as the action develops.

You can see this compositional flow clearly in an earlier phase of the Circus Man sequence. Before Braddock bursts in, David has been arguing with Colonel Grand in the foreground. David’s and Grand’s heads occupy the area that Braddock will soon claim. Just before that entrance, Mrs. Braddock pulls David back a bit to the right, and Grand recoils fractionally to the left. This creates a hole that Braddock can come into (as above).

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This sort of slight shifting is akin to what we see in the astonishing poorhouse sequence of Victor Sjöström’s Ingeborg Holm (1913), analyzed here. Clearly the Americans were executing the same sort of choreography as the Europeans, which turns the static image of a painting into something more dynamic, a sort of micro-dance.

 

Flo and flow

The married couple Lois Weber and Phillips Smalley are responsible for a little masterpiece of early cinema, Suspense (1913), which I’ve discussed here. It’s become a classic largely because its audacious close-ups and cutting seem to anticipate classic Hollywood style. But seeing, or sort of seeing, two other films by Weber and Smalley suggest that they were no less adept at the tableau method.

I say “sort of seeing” because the copy of Sunshine Molly (1915) was so deteriorated that in long stretches only faint outlines of the people and locales were visible. The plot was pretty clear, but the images were so blotchy that only a few furnish clear frames. Still, it would seem to have been quite a good film. With False Colours (aka False Colors, 1914), two or three reels were missing. But what was there was pretty spectacular, and one scene is really striking if you’re interested in staging.

As with The Circus Man, at first glance things look stagebound. Dixie’s long-separated father comes to the foreground where she stands waiting. He abandoned her as a baby, and now that she’s found success as an actress she spurns him.

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But no stage arrangement could yield the layout we get in this shot. While father and daughter occupy the “forestage,” we see Flo, who has impersonated Dixie in an effort to get the father’s money, step into the gap. (Flo is played by Lois Weber.)

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Thanks to the depth of the “cinematic stage,” we get what Charles Barr calls “gradation of emphasis”–not just two layers of space, as in The Circus Man, but action and reaction in depth, as we wait for the foreground action to develop. That action hits its high point when the father touches Dixie’s chin.

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This gesture partly masks Flo, who briefly turns away as well. The emphasis falls firmly on the father’s contrition. Dixie still refuses him, and so he says farewell, re-exposing Flo turning in the background.

False C end 1

As he departs, so that we get the full force of his encounter with Flo, Dixie turns from the camera. We must concentrate on the moment in the background when the imposter shows remorse for having won the love of the man she deceived.

False C end 2

 

 

At the door

You might object: “But David: Those examples are still very stagebound. The Case of Becky shot is itself on a stage, and the others, despite all their depth, show boxlike rooms from straight on. They seem firmly tied to a proscenium concept. Shouldn’t we expect something more natural?”

Fair enough, so I submit this earlier phase of the False Colours scene. This time we have a doorway, framed diagonally, that cuts off a lot of playing space. And we see obliquely into a corner of a room, not straight on to a back wall. And you still get an interplay of faces and bodies, carrying to a daring extreme the blocking-and-revealing tactics we’ve seen in The Circus Man and in the later phase of the False Colours scene.

Dixie comes to Flo with Flo’s mother. At this point Flo recognizes Dixie as the daughter she’s been impersonating and is deeply ashamed. You won’t be surprised by the dazzling precision of the frontal placement of Flo, no matter how far she is from the camera.

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Flo is consoled by her mother, and Dixie shuts the door discreetly.

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But why so much empty space on the left of the door? Because now the theatre manager is coming, and the framing shows us what Dixie doesn’t know: Her father is standing there.

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There’s a moment of suspense before he hesitantly steps to the doorway and Dixie sees him for the first time in seventeen years.

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He blots out everything but her reaction, until Flo’s face slides into visibility. Cornered, she’s terrified to be confronting the man she has deceived.

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The father’s valet has obligingly slid into the left to balance the frame, but he stands as frozen as the hypnotist Balsamo had, looking patiently downward, to make sure we concentrate on the pitch of drama taking place in the distance. This is as purely “cinematic” a scene as anything involving editing.

And who needs close-ups?

 

Griffith is a great director, but other filmmakers of his period were exploring cinematic possibilities he didn’t consider. Their editing is often more subtle and careful, and the exponents of the tableau style achieve a pictorial delicacy mostly at variance with his work.

More and more, this Founding Father of Hollywood seems to me an outlier–an eccentric, raw, occasionally clumsy filmmaker who went his own way while others refined a range of stylistic practices. I’m starting to think he favors a brute-force approach, in both physical action and the evocation of sentiment. The result is powerful, but… Well, I’m reluctant to say it, but after my two months of immersion in Anybody But Griffith, he’s starting to seem somewhat crude.


I’m tremendously grateful to the John W. Kluge Center, and particularly its director Ted Widmer, for enabling me to conduct this research under its auspices. A special thanks to Mike Mashon of the Motion Picture Division, and all the colleagues who have been helping me in the Motion Picture and Television Reading Room: Karen Fishman, Rosemary Hanes, Dorinda Hartmann, Zoran Sinobad, and Josie Walters-Johnston.

Ben Brewster and Lea Jacobs’ Theatre to Cinema is available for download here.

For our blog entries relevant to the tableau tradition, go here. Lois Weber made many other important films, notably Hypocrites (1915), Where Are My Children? (1916), Shoes (1916), and The Blot (1921). See the exceptionally detailed Wikipedia entry for more information.

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False Colours (1914).



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Vera Farmiga entra nel cast di Godzilla: King of the Monsters

La star della serie di The Conjuring reciterà nel film prodotto da Legendary e Warner Bros.

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On the Channel: David Bordwell on the Restraint of L’avventura

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The premiere screening of Michelangelo Antonioni’s L’avventura at the 1960 Cannes Film Festival was infamously divisive, causing the audience to break out into boos and catcalls. While the film’s opaque characterizations and languorous pacing retain their ability to befuddle uninitiated viewers, these qualities also marked it early on as a path-breaking work of modern European cinema. In the latest installment of Observations on Film Art, a Criterion Channel program in which professors David Bordwell, Kristin Thompson, and Jeff Smith examine formal elements of the medium through the work of great auteurs, Bordwell analyzes the elusive style that would become a trademark of Antonioni’s career. Below, watch an excerpt from the episode, in which Bordwell explores the ways in which the director creates his signature mood of isolation and ennui through meticulous visual compositions and the withholding of narrative information that moviegoers are accustomed to receiving.




from The Criterion Current http://ift.tt/2mEsGyj

In Memory of David Shepard

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Courtesy of Serge Bromberg


Last month, the world of silent-film history lost one of its most active proponents and preservationists, David Shepard. The first time I came across David’s name was in 2010, when we originally acquired the rights to release Charlie Chaplin’s feature films on home video and I began work as the producer of the editions. Kate Guyonvarch, managing director of the Chaplin Office, had included him on a list of experts she believed to be excellent sources for anything related to Chaplin’s films. When the rights to Chaplin’s silent short films fell into the public domain, companies like David Shepard’s Film Preservation Associates restored them for release in the home video marketplace. In the process, Shepard had done the necessary legwork to confirm that he had the right versions and was working with the best surviving elements. This often led him down a path to Chaplin’s features, and his efforts helped to generate new interest in the legacy of this silent-comedy legend.

When I reached out to David, he was incredibly accessible and always generous with the knowledge he had amassed over the years. If I e-mailed him, which I did on several occasions, asking about the physical condition of a specific reel or about a process I used many times called step-printing, in which frames in a silent film are repeated to bring the speed up to the sound-era standard of twenty-four frames a second, he would reply within minutes and with all the information I needed to address the questions at hand. His goal was to make sure these films had a life beyond the shelves of archives and were presented in as pristine and accurate a form as possible.

When working on our edition of Modern Times, the first of our Chaplin titles, I contacted him for access to his preservation master of the 1916 short The Rink, which Chaplin made for the Mutual Film Corporation, to include it as a supplemental program. In the course of our correspondence, I learned that he had conducted a video interview with David Raksin, Chaplin’s musical arranger for Modern Times, which we also included in that edition. For Limelight, I turned to him again for access to his preservation master of the Essanay short A Night in the Show and an excerpt from The Champion for use on City Lights.

Charlie Chaplin wasn’t David’s only area of expertise when it came to silent cinema. He also made great headway in preserving the films of King Vidor, Buster Keaton, Harold Lloyd, Georges Franju, Abel Gance, and F. W. Murnau. There are many people out there who worked with David longer and more closely than I did, or perhaps knew him as a film professor at USC and UCLA. But he made a lasting impression on me. We can only hope that David recorded all that he learned and had stored away in his brain about the nuances and anomalies of silent-cinema preservation. Anyone who works in this field knows that we depend on people like David Shepard to help us do right by these films.



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Schermi e Lavagne



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Omaggio a Dario Argento



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Omaggio a Maren Ade



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Il Cinema Ritrovato al cinema



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Kong: Skull Island, ecco il final trailer dello spettacolare film con Tom Hiddleston e Brie Larson

Sarà nelle nostre sale a partire dal 9 marzo: manca pochissimo.

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New UK Releases for February 2017

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This month, we’re introducing two new Criterion editions to the United Kingdom: Mildred Pierce, Michael Curtiz’s merciless 1945 portrait of motherly devotion, and Cul-de-sac, Roman Polanski’s 1966 farce about the chaos of the modern world.

Head over to Amazon to check out our full list of UK releases.



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Vince La La Land, anzi no, vince Moonlight: ecco cosa è andato storto agli Oscar

Gli incolpevoli Warren Beatty e Faye Dunaway hanno ricevuto la busta sbagliata.

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Venerdì 3 marzo esce l'atteso quarto volume di 'Manifest Destiny', dalla saldaPress

A noi di Close-Up, come vedete e leggete, piacciono i fumetti. E ci piace segnalare le nuove, gustose edizioni che escono in Italia, sia che si tratti di serie che di graphic novel. Dopo una lunga attesa, dovuta a una pausa creativa voluta dagli autori, torna in grande stile MANIFEST DESTINY. La serie pubblicata in Italia da saldaPress, scritta da Chris Dingess e disegnata magistralmente da Matthew Roberts è senza dubbio una delle più amate tra quelle targate Skybound, l'etichetta di Robert Kirkman all'interno di Image Comics. Una delle più amate e attese. E il quarto volume, intitolato SASQUATCH (pagg. 132, euro 14.90) e in uscita venerdì 3 marzo è all'altezza delle aspettative.

Dopo la sconvolgente conclusione del terzo story arc, in cui è emersa tutta l'ambiguità della missione guidata da Lewis e Clark e dell'idea di destino manifesto che guida loro e il loro equipaggio, una nuova avventura si profila all'orizzonte. Un'avventura che affonda le radici in una precedente e tragica spedizione, avvenuta solo tre anni prima rispetto a quella dei due capitani protagonisti della serie e che svela la misteriosa natura del teschio con un occhio solo.

Come indica il titolo del nuovo volume, il fulcro della vicenda ruota attorno a una delle creature mitologiche più celebri del folklore americano: il Sasquatch, altrimenti conosciuto come Bigfoot. Un altro animale mostruoso farà dunque da ostacolo all'avventura di Lewis, Clark, di Sacagawea e del resto dell'equipaggio, ma questa volta la sua storia rivelerà un risvolto inquietante, destinato a pesare come un ombra di morte sulla spedizione.

SASQUATCH è un altro magnifico arco narrativo di MANIFEST DESTINY, serie destinata a imporsi come un classico del fumetto contemporaneo.

Appuntamento in libreria, in fumetteria e nello shop del sito www.saldapress.com a partire da venerdì 3 marzo.



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Torna 'Valter Buio', lo psicanalista dei fantasmi, con Star Comics

Tornano le storie a fumetti di Valter Buio, il famoso “psicanalista dei fantasmi” creato dalla fantasia dello sceneggiatore e fumettista romano Alessandro Bilotta. Gli speciali pazienti di Buio, che lui preferisce chiamare “Inconsci”, sono dei fantasmi che cercano di capire i veri motivi, spesso legati alla loro stessa morte, che li costringono a vagare nel Limbo. La nuova edizione del fumetto, edita dalla casa editrice perugina Star Comics in occasione dei 30 anni di attività, è articolata in 4 volumi di grande formato (19x26 cm, 304 pag, b/n e colore, prezzo 20 euro) e comprende le storie uscite tra il 2010 e il 2011. L'opera è impreziosita dai contenuti redazionali inediti di Paolo Interdonato e dalle cover cartonate con finitura telata firmate da Emiliano Tanzillo. Il primo volume sarà disponibile da dopodomani mercoledì 1 marzo nelle librerie e nelle fumetterie e anche su Amazon. Gli altri tre volumi usciranno rispettivamente ad aprile, maggio e giugno.

Il primo volume della nuova serie di Valter Buio raccoglie tre storie mozzafiato di altrettanti Inconsci. La prima riguarda Cesare Rocca, un adolescente in guerra con il mondo. Poi c'è la vicenda di Ernesto Arci, un signore tranquillo prima di finire perseguitato da un individuo misterioso. E infine Aldo Novelli, che sembra avere la capacità di vedere il futuro. Queste persone hanno qualcosa in comune: sono morte, ma ancora non se ne sono andate. Sospesi in un limbo tra la vita e quello che verrà, in cerca di risolvere l'evento traumatico che li trattiene ancora qui, per gli Inconsci l'ultima possibilità potrebbe essere proprio Valter Buio, il medico che esercita questa insolita professione in un barcone sul Tevere.

“Il ritorno di Valter Buio era molto atteso dopo la prima serie del 2010, che aveva riscosso un grande successo di pubblico e anche della critica”, ha dichiarato Claudia Bovini, direttore editoriale di Star Comics. “Questa nuova edizione super-lusso, impreziosita anche dalle bellissime cover inedite e dai nuovi contenuti redazionali, consentirà ai tantissimi fan del personaggio creato dal grande Alessandro Bilotta di rivivere la magia e le malinconiche atmosfere dello ‘psicanalista dei fantasmi'. Siamo anche certi che quest'opera raggiungerà tanti nuovi lettori, che impareranno a conoscere Valter Buio e le anime inquiete che lui cerca di aiutare”.

Il primo volume della nuova serie di Valter Buio sarà presentato in occasione di Cartoomics, la grande manifestazione di fumetto, cinema, videogames e cosplay, che si svolgerà dal 3 al 5 marzo a Fiera Milano Rho. Sabato 4 marzo, presso lo stand di Star Comics, il disegnatore Andrea Rossetto disegnerà e firmerà autografi per il pubblico.



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Cars 3 ha un nuovo trailer "next generation"!

Nel terzo atto della saga Saetta McQueen capisce di essere obsoleto: saprà farsi valere ancora?

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Mai mettersi contro Logan: prima clip in italiano del film

Logan, l'ultima volta di Hugh Jackman nei panni di Wolverine, sarà nei cinema italiani da mercoledì 1 marzo.

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Oscar 2017: O.J. Simpson: un'ossessione americana

Perché l'ex campione di football attualmente carcerato, protagonista del documentario televisivo premiato con l'Oscar, fa ancora parlare di sé.

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Kong - Skull Island: prenota il tuo invito omaggio per l'anteprima del film

Il film sulle origini di King Kong, con Tom Hiddleston, Samuel L. Jackson e Brie Larson, arriva al cinema il 9 marzo.

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Oscar 2017 - Tutti i vincitori

Nella notte dell'89sima edizione della cerimonia di assegnazione degli Accademy Awards, tutti i pronostici sono stati rispettati. Quasi tutti, a dire il vero. A causa di un inspiegabile scambio di buste, il premio per il Miglior Film è stato assegnato giusto per un paio di minuti a La La Land, il musical di Damien Chazelle candidato a ben quattordici nomination (ne vincerà "solo" sei), prima che il disguido venisse svelato, decretando come vincitore Moonlight, diretto da Barry Jenkins; una scelta probabilmente dettata da un movente politico, un messaggio diretto a marcare l'esigenza di una maggiore sensibilità, in un momento storico politico e sociale quantomai incerto e corrotto da insensato accanimento. La La Land conquista l'Oscar per la Miglior Regia, proiettando Damien Chazelle nella leggenda di Hollywood, essendo diventato il regista più giovane a vincere tale premio nella storia degli Oscar. Nessuna sorpresa per gli attori già considerati a un passo dalla vittoria: Casey Affleck come Miglior Attore Protagonista in Manchester by the sea di Kenneth Lonergan, Emma Stone come Miglior Attrice Protagonista in La La Land, Mahershala Ali come Miglior Attore Non Protagonista in Moonlight e Viola Davis come Miglior Attrice Non Protagonista in Barriere, di Denzel Washington. Il cliente del cineasta iraniano Asghar Farhadi (assente alla cerimonia per sua scelta, in protesta per l'inasprimento del divieto di ingresso negli Stati Uniti voluto dal presidente Donald Trump) vince il premio come Miglior Film Straniero. Miglior Film D'Animazione a Zootropolis, prodotto dalla Walt Disney Pictures. Niente da fare per Fuocoammare di Gianfranco Rosi nella categoria per il Miglior Documentario, battuto da O. J.: Made in America, diretto da Ezra Edelman. L'unica soddisfazione made in Italy porta i nomi di Giorgio Gregorini e Alessandro Bertolazzi, premiati con l'Oscar per il Miglior Trucco per Suicide Squad. Tutto secondo i pronostici. Colpo di scena finale a parte. Ecco, dunque, tutti i vincitori:

MIGLIOR FILM
Moonlight

MIGLIOR REGIA
Damien Chazelle (La La Land)

MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA
Casey Affleck (Manchester by the sea)

MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA
Emma Stone (La La Land)

MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA
Mahershala Ali (Moonlight)

MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA
Viola Davis (Barriere)

MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE
Manchester by the sea

MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE
Moonlight

MIGLIOR FILM STRANIERO
Il cliente (Iran)

MIGLIOR FILM D'ANIMAZIONE
Zootropolis

MIGLIOR FOTOGRAFIA
La La Land

MIGLIOR SCENOGRAFIA
La La Land

MIGLIOR MONTAGGIO
La battaglia di Hacksaw Ridge

MIGLIOR COLONNA SONORA
La La Land

MIGLIOR CANZONE
City of Stars (La La Land)

MIGLIORI EFFETTI SPECIALI
Il libro della giungla

MIGLIOR SONORO
La battaglia di Hacksaw Ridge

MIGLIOR MONTAGGIO SONORO
Arrival

MIGLIOR COSTUMI
Animali Fantastici e dove trovarli

MIGLIOR TRUCCO
Alessandro Bertolazzi, Giorgio Gregorini e Christopher Nelson (Suicide Squad I, II)

MIGLIOR DOCUMENTARIO
O.J.: Made in America

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO DOCUMENTARIO
The White Helmets

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO
Sing

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO D'ANIMAZIONE
Piper



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Finalmente il primo Oscar, dopo 21 candidature!

Kevin O'Connell, ingegnere del suono, ha potuto finalmente stringere in mando l'ambita statuetta.

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Bill Paxton: l'omaggio dei cacciatori di tempeste al protagonista di Twister

Oltre 200 di loro scrivono le sue iniziali su una mappa usando le coordinate di un GPS.

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Grande gioia per i due premi Oscar italiani Alessandro Bertolazzi e Giorgio Gregorini per Suicide Squad

Vincono alla cerimonia il make-up e l'hairstyling made in Italy.

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Una Doppia Verità: Keanu Reeves e Renée Zellweger nel trailer italiano esclusivo del film

Il legal thriller diretto da arriverà nei cinema italiani nel mese di aprile.

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Moonlight, Premio Oscar 2017 per il miglior film: la trama, il cast e il trailer

Era l'avversario più temibile del super favorito La La Land e, nonostante il clamoroso "errore della busta", lo ha dimostrato vincendo il Pemio più importante.

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Ricordando Liz Taylor a 85 anni dalla sua nascita

Celebriamo con una photogallery la carriera della diva dagli occhi viola scomparsa il 23 marzo del 2011.

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The Great Wall primo al boxoffice italiano del weekend

Il kolossal cinese con Matt Damon vince, ma i risultati complessivi del weekend sono fiacchi per tutti i film.

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Oscar 2017: i ringraziamenti di Casey Affleck, Emma Stone, Damien Chazelle, Viola Davis e Mahershala Ali

"La nostra è l'unica professione che celebri cosa significhi vivere una vita": parole di Viola.

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Nella serata degli Oscar 2017 un'altra imperdonabile gaffe nel frammento In Memoriam

La foto di Jan Chapman, produttrice australiana viva e vegeta, al posto di quella dell'amica costumista Janet Patterson. Assenti dal ricordo Garry Shandling e Florence Henderson.

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Will Smith nel trailer del film Netflix Bright, diretto da David Ayer e scritto da Max Landis

Si riforma la coppia interprete-regista di Suicide Squad, il film appena premiato con l'Oscar al trucco.

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domenica 26 febbraio 2017

Oscar 2017: il discorso di accettazione inviato da Asghar Fahradi

A ritirare il premio per lui la prima donna iraniana nello spazio. Il regista, premiato con l'Oscar per Il cliente, fa appello all'empatia del cinema contro gli stereotipi e le contrapposizioni.

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Questi Oscar 2017, un po' cialtroni, un po' noiosi, sicuramente memorabili nel segno dell'errore

L'89esima edizione degli Academy Award entrerà di sicuro nella storia del cinema e della televisione, ma non per motivi di cui andare particolarmente orgogliosi.

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Oscar 2017: ecco tutti i vincitori dei premi!

Tutti i premiati agli 89esimi Academy Awards.

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Oscar 2017: cronache dal red carpet

Il look e le dichiarazioni delle star che hanno sfilato sul tappeto rosso davanti al Dolby Theatre prima della cerimonia di premiazione.

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Piena di Grazia - La Storia di Maria la Madre di Gesù

Un interessante e inedito ritratto della Chiesa delle origini
* * * - - (mymonetro: 3,00)

Regia di Andrew Hyatt. Con Noam Jenkins, Bahia Haifi, Kelsey Asbille, Merik Tadros, Taymour Ghazi, Eddie Kaulukukui, Maz Siam, Noelle Lana, Ahmed Lucan, Noelle Romberger, Arti Sukhwani.
Genere Drammatico - USA, 2015. Durata 83 minuti circa.

10 anni dopo la morte di Gesù gli apostoli stanno vivendo un momento di difficoltà ma trovano in Maria sua madre, ormai prossima alla morte, una figura in grado di rincuorarli e spingerli a proseguire l'opera iniziata dal Figlio.





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